Il blocco navale del Canale di Suez e la crisi estesa all’intero Mar Rosso è un fenomeno che ci tocca da vicino, sia come nazione italiana sia come territorio europeo. Il blocco scatenato dai ribelli Yemeniti, che attaccano le navi mercantili arriva in un momento già di per sé difficile per il mondo intero.
Canale di Suez: “diamo i numeri”
Secondo il report sull’economia del mare di Srm-Intesa Sanpaolo, dal canale di Suez passa il 12% delle merci mondiali, il 30% dei flussi di container, il 10% dei prodotti petroliferi raffinati, l’8% del gas naturale liquefatto, il 5% del petrolio, nonché più del 10% di cereali e fertilizzanti.
Per la sola Italia si stima che il valore dell’import-export annuale che transita per il canale di Suez proveniente dai paesi del Medio Oriente, dall’Asia, all’Oceania e dai paesi del Sud-Est dell’Africa nel 2023 sia pari a più di 148 miliardi di euro, di cui 55 di esportazioni e 93 di importazioni, (ovvero il 42,7% del commercio estero dell’Italia trasportato per mare e l’11,9% del commercio estero totale dell’Italia). Nel dettaglio si tratta del 15,2% delle importazioni totali e dell’8,7% delle esportazioni totali. I paesi maggiormente interessati per valore dell’interscambio commerciale via nave con Italia sono Cina, India, Arabia Saudita, Giappone, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Iraq, Indonesia.
Alla ricerca di soluzioni momentanee
La quasi totalità degli armatori per ora ha deciso di non passare per il canale di Suez ma di utilizzare la ben più lunga rotta africana, che prevede la circumnavigazione del continente col guado del Capo di Buona Speranza in Sudafrica. Maersk, Cosco ed altre importanti compagnie navali preferiscono allungare la rotta per l’Europa di quasi 7 mila miglia.
Tutto ciò ovviamente si traduce in un pesante costo (stimati circa 1 mio di costi carburante extra) e un dispendio ulteriore di tempo (dai consueti 27 a oltre 40 giorni per un carico proveniente da Shanghai) che vanno sicuramente a gravare sul consumatore finale e sulla supply chain.
Un caso emblematico è però rappresentato dai chi coltiva e spedisce prodotti deperibili come frutta e verdura, che non potendo passare dal canale di Suez e dovendo viaggiare dai 10 ai 15 giorni extra non può garantire che i prodotti arrivino a destinazione organoletticamente intatti. Se la crisi non si risolve si dovranno cercare altri mercati.
La parola agli operatori
Abbiamo chiesto a Riccardo Fuochi di Logwin partner di Pangea Studio Associato per Hong Kong e lo sviluppo dei mercati orientali sul tema del costo dei noli: “prima del Covid i costi dei noli erano intorno ai 2000$ poi sono saliti fino a oltre 12.000$ per poi scendere sotto i 1800$” . E’ importante, ricorda il Presidente Fuochi “che gli operatori stiano bene attenti a distinguere i fenomeni di carattere speculativo da quelli strutturali di mercato. In prima battuta non bisogna confondere il costo speculativo di 1800$ che si vedeva a ottobre con un costo realmente sostenibile. Le imprese di shipping non possono sostenere questi costi nel medio termine.”
“La business community farebbe bene” – sostiene ancora il presidente Fuochi – “a valutare un prezzo reale intorno ai 5000$ come benchmark di mercato per programmare nel medio termine le attività. Gli operatori dovrebbero guardare con attenzione ai picchi speculativi e considerare cosa realmente possa essere veicolato nei container che attraversano il mondo e cosa no.”
Per approfondire il tema ci si può iscrivere al webinar del 05 febbraio organizzato dalla associazione Italy China Council Foundation 5 febbraio – La crisi del canale di Suez: scenari sulla rotta commerciale Cina-Europa – WEBINAR – The International Propeller Club – Port of Milan
E anche il 15 febbraio partecipare alla cena organizzata dal Propeller Club e dall’Associazione Italia-Hong Kong presso la Sede dell’associazione in largo Marinai Italia – sulla Darsena dalle ore 18.00.
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✅ A cura dell’ufficio italiano di Pangea Studio Associato